L’intervista a Olimpia Niglio per Business Intelligence Group

Olimpia Niglio è una studiosa di rilievo internazionale nel campo dell’architettura e del patrimonio culturale, con una solida e articolata formazione accademica alle spalle. Oggi si occupa principalmente di didattica nel settore della valorizzazione del patrimonio culturale, con un’attenzione particolare alle dimensioni interculturali. Il suo lavoro la porta a collaborare con università, istituzioni e comunità in diversi paesi del mondo, promuovendo il dialogo tra culture diverse.

Il suo percorso accademico è stato lungo e profondamente radicato nella convinzione di seguire un obiettivo ben definito. Dopo la laurea quinquennale, ha conseguito una specializzazione biennale, seguita da due cicli di dottorato, per un totale di oltre dodici anni di formazione. Un cammino che lei stessa definisce “in salita”, intrapreso con determinazione e passione, e che le ha permesso di costruire una carriera autonoma e internazionale. Dopo aver concluso il dottorato presso l’Università di Pisa nel 2001, ha avviato la sua esperienza all’estero, iniziando dal 2005 a lavorare in Colombia, ampliando così il suo sguardo e il suo impegno accademico in contesti globali e multiculturali.

In che modo oggi si occupa di educazione e inclusione sociale nella didattica?

Mi occupo di educazione essendo una docente universitaria, ma soprattutto di una educazione fortemente inclusiva. Ho iniziato la mia attività accademica in Colombia ma ho lavorato tanto in contatto con le università latino-americane. Ho conosciuto professori e studenti di diverse nazionalità e questo ha sempre fatto sì che i miei programmi educativi siano stati fortemente indirizzati all’inclusione sociale. Una inclusione diventata ancora più forte dal 2010 quando ho iniziato la mia attività accademica in Giappone e questo ha rafforzato quella relazione che deve sussistere tra l’educazione e l’inclusione.

L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo.” – Nelson Mandela
Condivide questa visione? In che modo l’educazione può essere uno strumento trasformativo per la società?

L’educazione è uno strumento fondamentale per la trasformazione della nostra società. Non è un qualcosa di elitario, ma una opportunità per tutti. L’educazione è fondamentale, senza di essa non è possibile scommettere sulla libertà dell’individuo. È alla base della vera umanizzazione, attraverso questa nasce e si genera la cultura. Non è quindi possibile immaginare un mondo senza l’educazione perché sarebbe difficile parlare di inclusione, di incontro e dialogo.

Quali sono le sue esperienze nell’ambito della didattica e nel rapporto con gli studenti?

Ho lavorato 16 anni all’interno di contesti multiculturali all’estero. Sono rientrata in Italia nel 2022 quando il Ministero dell’Università mi ha assegnata dal all’Università di Pavia, che ringrazio per questa opportunità essendo una docente italiana all’estero. Allo stesso tempo, ho portato con me un ricco bagaglio di esperienze, che oggi si riflette nel mio modo di fare didattica. In particolare, ho imparato quanto sia importante mettere in dialogo studenti provenienti da culture diverse, creando uno spazio di confronto e arricchimento reciproco. I contesti multietnici nei quali ho lavorato mi hanno insegnato il valore dell’ascolto, dell’inclusione e del rispetto per le differenze, e questi insegnamenti li trasmetto quotidianamente ai miei studenti, ponendo sempre al centro i valori delle persone.

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Qual è il suo approccio professionale nell’accompagnare gli studenti provenienti da contesti culturali diversi?

Da anni accompagno moltissimi studenti a raggiungere i propri sogni e obiettivi. Le mie esperienze sono legate soprattutto a processi di apprendimento, anche per me stessa, grazie alle persone che ho incontrato e agli studenti, stimolando l’interesse alla conoscenza. Oggi queste conoscenze costituiscono parte del bagaglio che mi porto dietro e che metto a disposizione degli studenti, di coloro che vengono in Italia, anche di professori che spesso mi accompagnano nel percorso didattico. Sono oggi orgogliosa di poter trasmettere le mie esperienze e stimolare loro a saper guardare oltre, a non fermarsi ai limiti, agli spazi nei quali vivono, ma a mettersi in discussione di fronte alle scelte della vita.

Secondo lei, in che modo l’educazione può realmente diventare motore di inclusione sociale?

Non c’è alcun dubbio che l’educazione sia il motore dell’inclusione sociale. Questo perché l’educazione è cultura, è vita, quindi umanità. Il suo scopo più profondo risiede nello sviluppo integrale della persona, affinché possa partecipare attivamente e consapevolmente alla comunità in cui vive.

L’educazione non consiste soltanto nel dare idee, e nel dare nozioni, significa accompagnare lo studente e il cammino dei giovani in una crescita umana, fondata su valori, sul “linguaggio del cuore”, significa favorire azioni che generano relazioni autentiche e rafforzano il senso di appartenenza, contribuendo così alla crescita collettiva della società. Secondo questa direzione possiamo comprendere il grande valore dell’educazione come strumento di inclusione sociale.

Quali competenze trasversali dovrebbero essere al centro di un’educazione inclusiva?

Relativamente alle competenze trasversali vorrei ricordare “la costituzione apostolica Veritatis Gaudium” circa le università. Il tema è legato all’aspetto di superare l’iper-specializzazione per orientarsi verso una educazione che tenda all’unità dei saperi. Questa prospettiva si giustifica con la capacità di mettere insieme le diverse competenze lavorando su principi di interdisciplinarità, ovvero la possibilità di studiare secondo diversi approcci tra loro sinergici.

In questo senso, la transdisciplinarità rappresenta un’apertura concreta verso i diversi ambiti del sapere, orientata al raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi. Oggi più che mai questa dimensione è finalizzata a principi di umanizzazione sempre più importanti se vogliamo costruire una società futura più giusta, inclusiva e consapevole.

Quali sono le principali sfide che incontrano gli studenti stranieri nel contesto universitario?

La grande sfida che incontrano gli studenti stranieri nel contesto universitario è l’acquisizione della conoscenza. Lo vedo tutti i giorni e ogni anno imparo attraverso di loro che aspirano alla conoscenza. Vedo i diversi approcci che gli studenti stranieri mettono in atto per raggiungere questo obiettivo e noi dobbiamo aiutarli offrendo strumenti che favoriscano l’unità del sapere. Questo può avvenire solo attraverso un dialogo transdisciplinare, che valorizzi la diversità dei punti di vista e promuova un apprendimento inclusivo.

Quali buone pratiche ha visto funzionare per favorire l’inclusione degli studenti internazionali?

Una delle buone pratiche che ho potuto osservare con maggiore efficacia è stata quella di far dialogare gli studenti sulle rispettive culture, valorizzando i valori propri di ciascuna. Proprio su questo, nel 2020 anche in dialogo con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, sono stata fondatrice di un programma pedagogico internazionale dal titolo “Reconnecting With Your Culture”, per dare valore ai giovani, dai 3 ai 18 anni, accompagnandoli nella riscoperta del proprio patrimonio culturale, per mettersi in dialogo con il mondo e, al tempo stesso, rimettere al centro la propria identità. Rimettersi al centro attraverso processi di umanizzazione è stata una buona pratica che vede in questo programma un percorso di formazione, attivo in molte scuole del mondo e che dà valore all’esperienza e alla visione che promuoviamo.

Cosa suggerirebbe alle istituzioni accademiche per rendere l’inclusione un obiettivo strutturale?

Affinché si possa parlare di una educazione inclusiva vorrei suggerire di aprire le porte, rompere quei perimetri finalizzati a perseguire degli obiettivi personali ma non comunitari. Il mio invito è quello di immaginare un’università aperta dove tutti possano dialogare a favore della costruzione della società del futuro.

Vi ringrazio per avermi coinvolta in questo vostro progetto legato all’inclusione educativa.