In un mondo sempre più orientato verso l’innovazione tecnologica e la sostenibilità, le figure professionali che riescono a coniugare competenze umanistiche e scientifiche diventano essenziali per guidare il cambiamento. Tra queste figure spicca Filippo Poletti, giornalista e LinkedIn Top Voice, noto per il suo approccio poliedrico e visionario. Con un background che abbraccia gli studi classici e un executive MBA alla POLIMI Graduate School of Management, Poletti rappresenta un esempio di come la multidisciplinarietà possa essere la chiave per affrontare le sfide del nostro tempo.

Filippo ha dedicato la sua carriera a esplorare e divulgare i cambiamenti nel mondo delle professioni, attraverso una rubrica giornaliera su LinkedIn e la collaborazione con oltre 30 testate nazionali. Il suo impegno nel campo della comunicazione e della formazione lo ha portato a essere riconosciuto come una delle figure di spicco nel panorama italiano, con un profilo inclusivo tra i protagonisti della metropoli milanese da WikiMilano.

Autore di diversi libri che indagano temi come l’innovazione, la leadership e le dinamiche del mondo del lavoro nell’era digitale, Poletti si è distinto per la sua capacità di leggere e interpretare le evoluzioni tecnologiche e sociali. Tra le sue opere, spicca Smart Leadership Canvas, che propone un nuovo modello di leadership in grado di navigare l’epoca dell’IAcene, un termine coniato da Poletti per descrivere l’era in cui l’intelligenza artificiale e quella umana collaborano strettamente.

Nell’intervista che segue, Filippo Poletti condivide il suo percorso, le sue riflessioni sul presente e sul futuro del lavoro, dell’innovazione e della sostenibilità, nonché il suo approccio alla leadership in un mondo sempre più interconnesso e tecnologicamente avanzato.

Filippo Poletti: l’intervista a Business Intelligence Group

FILIPPO POLETTI INTERVISTA

Benvenuto Filippo, potrebbe presentarsi e condividere il suo percorso a cui è arrivato fino ad oggi e i suoi progetti?

«Sono un “poliumanista”: ho compiuto gli studi classici e studiato alla business school del Politecnico di Milano seguendo l’executive MBA articolato in due anni. In Italia si parla dell’importanza delle STEM ossia della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica. Negli Stati Uniti si parla di STEAM, ossia di scienza, tecnologia, ingegneria, arti e matematica. Credo che sia necessario oggi acquisire saperi differenti, da quello umanistico a quello scientfico. Non sono per l’aut aut, ma per l’et et. A questo si è ispirato e si ispira il mio percorso formativo così come i miei libri».

Lei ha scritto un libro dal titolo “Smart Leadership Canvas”, in cui si parla di un Rinascimento tecnologico. Cosa intende per “Smart Leadership”? Mi parli di questo suo scritto e di cosa comunica.

«Siamo entrati in quella che chiamo l’“IAcene” o “AIcene”, l’epoca in cui l’intelligenza artificiale collabora con quella umana. Dopo l’“Antropocene” siamo entrati nell’“IAcene”. Viviamo un Rinascimento tecnologico che ha già interessato milioni di persone. Consideriamo, ad esempio, la velocità di adozione di ChatGPT, il chatbot lanciato più di un anno fa, il 30 novembre 2022: gli utenti registrati sono stati, in appena cinque giorni, cinque milioni. In tre mesi si sono iscritti 100 milioni di utenti: per arrivare alla stessa massa critica ci sono voluti 16 anni per i cellulari, sette per Internet e poco più quattro per Facebook. Oggi, poco più di un anno dopo il lancio, gli iscritti a ChatGPT sono oltre 180 milioni, la metà degli abitanti degli Stati Uniti d’America. È solo l’inizio dell’“IAcene” o “AIcene”. Di fronte a tutto ciò servono nuovi leader, di cuore e cervello, ossia attenti alle persone e, allo stesso tempo, al raggiungimento degli obiettivi di business: per questo il libro “Smart Leadership Canvas” propone un canvas o percorso di autovalutazione destinato ai manager».

Ritiene che l’IA e l’intelligenza umana possano collaborare insieme per guidare il mondo verso l’inclusività, l’innovazione e la sostenibilità?

«Devono. L’intelligenza artificiale riguarderà, parlando in inclusione, tutti i professionisti di qualsiasi età: nasceranno l’IAvenditore, l’IAconsulente, l’IAcommercialista, l’IAcostruttore, l’IAagricoltore, l’IAmedico e così via. Per questo l’AI o artificial intelligence, per dirala in lingua inglese, deve accompagnarsi all’AG o age diversity. Per questo, come detto, servono nuovi leader che sappiano – come racconta Agostino Santoni, vicepresidente di Cisco e di Confindustria con delega al digitale – disegnare una visione e una strategia inclusive e sostenibili, portando a bordo tutti i collaboratori. Interessante, sotto questo aspetto, è la matrice della leadership che lo stesso Santoni propone nel libro “Smart Leadership Canvas”, dove sull’asse delle ascisse si trovano gli obiettivi di business, che derivano dalla crescita sostenibile, e sull’asse delle ordinate la capacità di esecuzione».

Sempre più aziende stanno adottando pratiche più sostenibili. Qual è il ruolo dei media nel mostrare queste practices e nell’incoraggiare azioni a favore dell’ambiente, dell’inclusione sociale e della salute?

«Informare significa formare, ossia mettere a disposizione di altre persone contenuti che possano essere fatti propri. L’informazione ha un ruolo chiave nel promuovere azioni sostenibili e inclusive, così come nel segnalare eventuali operazioni di greenwashing. Non sto parlando solo della stretta attualità. Di greenwashing si discute da tempo: ricordiamo tutti il caso di Chevron, che negli anni Ottanta lanciò la campagna “People do” dedicata alle buone pratiche, non rispettate sul fronte della protezione dell’ambiente dalla stessa società petrolifera americana. Per questo, ribadisco, il ruolo dei media è insostituibile: compito dei giornalisti è quello di raccontare la realtà, selezionando le fonti nel rispetto dei lettori o degli ascoltatori».

In che modo, secondo lei, è possibile sensibilizzare i lettori sui temi legati all’inclusività, all’innovazione e alla sostenibilità in modo tale che siano essi stessi dei promotori di soluzioni sostenibili?

«Cerchiamo di vedere tutta la “catena della fornitura della sensibilizzazione”: la prima condivisione deve avvenire all’interno dell’azienda. Prima, infatti, occorre parlare “in famiglia”, poi all’esterno. Ed è qui che va collocata la comunicazione esterna delle aziende. Come sappiamo, il marketing distingue i canali di comunicazione in “paid media”, “owned media” e “earned media”: i primi offrono visibilità in cambio di soldi, i secondi sono tutti quelli di proprietà del marchio, mentre i terzi sono rappresentati da quelli generati spontaneamente, dal passaparola alle menzioni sui diversi canali di comunicazione. Alla comunicazione promossa dall’azienda con i canali proprietari si accompagna, appunto, quella portata avanti dai media non di proprietà. In questo contesto un ruolo sempre più rilevante è rivestito dai social media. La terra “gira” intorno ai social media e non solo intorno al sole: 43 milioni di italiani sono oggi regolarmente attivi sui social in Italia. Su LinkedIn, per citare quello dedicato ai professionisti, ci sono 9,7 milioni di utenti attivi, ossia 9,7 milioni di persone che si connettono almeno una volta al mese. In questo universo ciascuno, dal suo punto di vista, può e deve avere un ruolo attivo nel promuovere la sostenibilità economica, sociale e ambientale dell’innovazione».

FILIPPO POLETTI INTERVISTA BIG

Nel contesto dell’innovazione e della sostenibilità, quali sono le sfide che la società sta affrontando attualmente? Quali sono, invece, le “barriere” alla diffusione di questi concetti e come possono essere superate?

«La prima sfida da affrontare è quella dell’“Aibility”, parola formata unendo “AI” e “sustainability”. Ne ha parlato Yuval Noah Harari nel bel libro dal titolo “21 lezioni per il XXI secolo”: in stato di veglia il nostro cervello consuma tra 10 e i 20 watt. L’intelligenza artificiale è sprecona: una rete artificiale divora, in una singola operazione, l’energia con cui si alimenta una sfarzosa villa hollywoodiana per due mesi. I modelli neurali di riconoscimento vocale sono ancora più energivori. Occorre, in sintesi, sviluppare una “tiny artificial intelligence”, ossia modelli di machine learning altamente efficienti e leggeri».

Quale sarà, secondo lei, il ruolo del manager del futuro?

«Affinché le organizzazioni possano raggiungere o mantenere una posizione di successo è necessario che i manager si approccino sempre di più al loro ruolo con una prospettiva a 360 gradi, gestendo le aziende non solo dal punto di vista “commerciale”, ma anche da quello “emozionale”. I leader devono continuare a utilizzare il cervello, com’è sempre stato finora, ma a questo deve necessariamente affiancarsi un uso sempre estensivo del cuore. La figura del leader battistrada o eroe solitario in grado di trascinare l’intera azienda, sostenendone il peso, non solo non è più sostenibile, ma rischia di rivelarsi addirittura controproducente. I leader devono comprendere le necessità del proprio business e, allo stesso tempo, quelle dei collaboratori, facendo in modo di promuovere la massima sinergia».

Quali sinergie ci sono oggi tra la ricerca e la divulgazione?

«Gli accademici, parlando di ricerca universitaria, sono spesso criticati, perché scrivono articoli che non “parlano” ai manager, sono spesso autoreferenziali e utilizzano un linguaggio molto tecnico così come la maggior parte delle riviste accademiche. In “Smart Leadership Canvas”, che ho scritto con l’università di Torino nella persona del professore di business management Alberto Ferraris, abbiamo preso il meglio della ricerca accademica e scientifica, traducendola in un linguaggio facilmente comprensibile. Inoltre, abbiamo utilizzato fonti che hanno già un taglio fortemente manageriale come, ad esempio, l’Harvard Business Review. Ricerca e divulgazione possono camminare insieme, speditamente».

Per concludere, chiudiamo con una nota creativa: se dovesse creare uno slogan in grado di riassumere le tematiche discusse oggi, quale sarebbe?

«Direi che i leader, per tornare al tema della leadership, devono fare, far sapere e saper far fare».


La redazione di Business Intelligence Group ringrazia sinceramente Filippo Poletti per aver condiviso le sue preziose intuizioni e visioni in questo dialogo illuminante. La sua capacità di navigare tra i temi della leadership, dell’innovazione e della sostenibilità, con un approccio tanto umanistico quanto tecnologico, fornisce una bussola preziosa per chiunque sia interessato a comprendere e guidare il cambiamento nel nostro mondo interconnesso. La sua esperienza e saggezza sono una fonte di ispirazione per leader attuali e futuri, e speriamo che i nostri lettori possano trarre significativo valore da questa conversazione.