Da pochi mesi in tutte le librerie italiane si può trovare 21 – Alfabeto per la comunicazione etica post pandemia.
Business Intelligence Group ha incontrato Luca Montani, autore del libro, e ha approfondito con lui il tema della comunicazione etica.
21 – Alfabeto per la comunicazione etica post pandemia, è uscito nelle librerie da pochi mesi. Intanto, è un libro per addetti ai lavori?
Assolutamente no. È un testo per tutti, a tratti leggero, a tratti più articolato. Se avessi pensato di rivolgermi esclusivamente a colleghi, avrei fatto un autogol perché la sfida di fondo è proprio quella di non parlarci più addosso ma riflettere su come mutare la nostra professione per troppi anni dedicata ai prodotti di scaffale.
In realtà è un invito a considerare il fatto che tutti noi comunichiamo anche involontariamente e dovremmo farlo conoscendone bene i vizi e le virtù. Possiamo anche divertirci, appassionarci, mentre comunichiamo.
Luca, nel tuo libro parli di comunicazione paragonandola al cioccolato. Hai citato anche il Vermouth. Insomma, non è un manuale tecnico ma un’esperienza editoriale molto particolare.
Sono espedienti divertenti e golosi che possiamo comprendere facilmente tutti. Il cioccolato scatena passioni e pulsioni irrefrenabili; è una metafora dell’ingordigia che dovremmo avere quando selezioniamo le giuste parole, quando vorremmo suscitare una bella impressione o intrattenere con il necessario pathos.
Il Vermouth, invece, è il risultato di uno straordinario impegno di gruppo: è un amaro che nasce da mani esperte che uniscono con sapienza profumi, essenze, aromi. Un bel laboratorio che mi piacerebbe associare al lavoro di mixer che spesso occorre nella professione di comunicatore, ossia saper unire, mixare, selezionare le informazioni giuste, allontanare quelle irrilevanti o quelle corrotte, coinvolgere e condividere.
Quando e come è nato ‘21’?
Durante la pandemia e nella mente dell’editore – Altreconomia – che ha visto una serie di miei articoli in rete e mi ha chiesto di approfondire il tema con ulteriori riflessioni. Ne ho raccolte 21, come le lettere dell’alfabeto. Le ho messe in ordine, aggiungendo bibliografie, apparati e ricordi letterari.
La pandemia ha fatto riflettere tutti. Ha letteralmente usurpato la nostra capacità predittiva delle crisi e ha messo a dura prova i nervi di tutti noi, a partire dai più fragili.
Pandemia e comunicazione. Trovi che sia stato un periodo fertile per la riflessione?
Per l’effetto che ha prodotto certamente sì: provenivamo da un periodo caratterizzato da troppa irrazionalità, troppi bias cognitivi, improvvisazione, insufficiente ingaggio della mia professione, banalizzazione e eccessiva semplificazione.
Risultato? Una marcata deriva visuale, un overload informativo che ha prodotto ubriacatura da contatti, un costante superamento dei freni inibitori, una presunzione di omniscienza, un rancore da tribù. Insomma, una vera e propria infodemia che ha pervaso molti ambienti. La pandemia ha rallentato tutto e ha mostrato le nostre nudità.
Poteva andare peggio?
Poteva piovere. Scherzo, ovviamente. La citazione di Frankenstein Junior è un bell’assist anche se c’è poco di cui ridere. I numeri di questa ecatombe sono sotto gli occhi di tutti.
Però non vorrei che l’appuntamento con la nostra fragilità non fosse stato in qualche modo utile. Utile per tornare a riflettere sull’egosistema dell’era biomediatica, sul reale senso della quarta rivoluzione (come la chiama Luciano Floridi), sulla dispersione delle fonti nella nostra dieta informativa quotidiana, sulla disintermediazione sociale e dei mezzi di comunicazione di massa e sulla politica zombie. Viviamo una recessione democratica e la comunicazione è l’unica risorsa che resta.
Ecco perché scrivere un libro sulla comunicazione. Anche se, come hai ribadito, il tuo non è un libro per addetti ai lavori.
Esatto. Vado molto fiero di queste pagine perché sono il frutto di una riflessione lunga, articolata, per nulla scontata. È stata l’occasione di rimettere a posto conoscenze, informazioni, letture e ricordi personali. Una sorta di diario distopico della ripartenza che riguarda tutti, nessuno escluso.
In appendice tu parli appunto anche di ripartenza. Ci sono consigli importanti sul ruolo delle città, sull’educazione, sulla scienza, sulla scuola. C’è anche un Manifesto dedicato alla comunicazione.
Ripresa, ripartenza, resilienza, come si dice oggi. Lavoro in ambito pubblico, in precedenza sono stato insegnante, consulente di aziende, istituzioni, ordini professionali, realtà del terzo settore, ho realizzato una trentina di campagne elettorali. Credo di conoscere abbastanza bene il mio contesto e le agende istituzionali e forte di questa conoscenza ho messo mano ad alcune suggestioni pratiche. Quanto al Manifesto della Comunicazione è un contributo che abbiamo realizzato tra diversi professionisti noti della comunicazione pubblica nazionale. Mi piace ricordarli tutti, i miei compagni di viaggio che stimo e a cui voglio molto bene: Daniele Chieffi, Piero Pelizzaro, Andrea Pillon, Luca Poma, Stefano Rolando, Gianluca Spitella.
Una domanda che può suonare retorica: consiglieresti ‘21’? E a chi, nel caso?
Non lo consiglio a coloro che pensano che la comunicazione sia un tema per pochi privilegiati e non lo consiglio a coloro che credono di non potersi più mettere in discussione, al di là del ruolo sociale che ricoprono.
Lo consiglio vivamente a chi raccoglie le sfide, anche letterarie, a chi è curioso, a chi piace leggere o scrivere come addentare una buona tavoletta di cioccolato.
Se questo questo contenuto ti è piaciuto faccelo sapere scrivendo a [email protected] e continua a seguirci su www.businessintelligencegroup.it